Disclaimer #1: in alcuni passaggi é un po’ splatter … non leggere a stomaco pieno.
Disclaimer #2:un po’ lungo, lo so, ma c’era tanto da dire.
Martedì 5 dicembre, due giorni dopo la bella giornata al cross provinciale di Dolo, sono entrato in ospedale per l’intervento che attendevo da quattro mesi. Mi aspettava una piccola operazione chirurgica per la chiusura del forame ovale pervio (FOP).
La diagnosi
Questo “buchino” tra i due atri del cuore é presente in circa il 20/25% della popolazione e quasi tutti vivono benissimo senza alcun disturbo. Tuttavia i medici hanno notato che quasi tutti i casi di ictus “giovanile” non spiegabile dalle classiche cause, avvenivano su pazienti con FOP. Da qualche anno la procedura di chiusura é poco invasiva e piuttosto sicura. Anche per questo i medici consigliano sempre la chiusura in via precauzionale.
Non ci sono le prove sperimentali di come può il FOP provocare l’ictus nei soggetti predisposti. L’ipotesi, però é chiara e ragionevole: si sospetta che questo buchino tra i due atri del cuore lasci passare del sangue “sporco” proveniente dalle circolazione venosa, nelle arterie della circolazione sistemica. Il passaggio di piccoli coauguli di sangue creati nelle zone periferiche (gambe) a causa di botte, ferite, disidratazione e altro, può ostruire i capillari che irrorano il cervello. Nel mio caso una ecografia endoesofagea con bubble test ha evidenziato senza ombra di dubbio il passaggio anche in condizioni di riposo a 50/60 bpm. Ricordo ancora l’euforia con cui la dottoressa descriveva la particolare morfologia del mio cuore al giovane medico tirocinante che era con lei. Anche l’infermiera che mi iniettava la soluzione schiumosa nel braccio durante il test mi disse che anche a lei non era mai capitato un caso così evidente. Terminata l’eco non ho avuto nemmeno il tempo di rimettermi la maglia che la dottoressa già aveva emesso la sentenza: si doveva chiudere.
La chiusura avviene tramite una protesi di un paio di cm formata da un inteccio di fili metallici. La protesi viene schiacciata in modo che possa risalire una vena fino al cuore. Attraversa il foro del setto interatriale, apre una specie di ombrellino a sinistra e uno a destra. I due ombrellini vengono avvicinati schiacciando la parete in modo da tappare il buco.
L’attesa
Io non ho avuto un momento di esitazione. Qualsiasi sacrificio, tortura, dolore, attacco di panico mi potesse attendere il giorno dell’intervento serebbe terminata il giorno stesso. Dalla mattina dopo averi vissuto una con una sicurezza in più. Dopo quel fatidico giorno mi sarei svegliato ogni mattina pensando che non avrei mai più avuto la brutta esperienza di una ischemia cerebrale. Ne valeva sicuramente la pena. Al contrario, sarebbe stato insopportabile trovarsi un giorno lontano con un grosso problema fisico e pensare che si sarebbe potuto evitare se nel lontano 2017 avessi fatto una altra scelta. Ero anche entusiasta di sperimentare in prima persona una procedura di alto livello tecnologico. Una cosa che 20 anni fa era una cosa che poteva permettersi solo qualche milionario in cliniche futuristiche.
Ho avuto la fortuna di avere vicino a me persone che hanno capito la mia decisione, sia in famiglia che tra gli amici. Non mi hanno riversato le loro paure e i loro dubbi ma avevano fiducia in quello che avevo scelto. Questo é stato molto importante perchè mi ha consentito di passare dei mesi senza pensare all’intervento, correndo normalmente (anche senza forzare e senza obiettivi particolari).
Sono stato avvisato della possibilità di effettuare l’intervento cinque giorni prima. Non ho rinunciato al cross, che capitava due giorni prima, anzi, mi é servito per non pensarci nei giorni che rimanevano. Sapevo a cosa andavo incontro. Non avendo esperienze di ricoveri ed interventi chirurgici ero abbastanza terrorizzato. Mi dava fiducia però il fatto di aver saputo di molte persone che aveva fatto questa procedura e per quanto male potesse andare, ne sarei sucito vivo di sicuro, non c’erano grossi rischi. L’esperienza però é stata molto traumatica. (segue una parte un pochino splatter …).
Quel giorno
Dopo gli esami del sangue del mattino e quattro ore di flebo per idratarmi entro in sala operatoria verso le 15:30. Gli infermieri cercano di distrarmi. Ogni tanto guardo lo schermo con la mia frequenza cardiaca e vedo che passa da 50 bpm quando sono tranquillo a una 70ina se c’è del movimento e comincio a preoccuparmi. Quando arriva il cardiologo cominciano a preparare il campo chirurgico e capisco che si comincia a fare sul serio. Mi fanno una anestesia locale agli inguini. A destra praticano una incisione di circa 3-4 cm per scoprire la vena femorale e installare un “introduttore” che servirà ad inserire il catetere che porterà la piccola protesi al cuore. A sinistra invece tramite un foro molto più piccolo verrà inserita sempre nella vena femorale un’altra sonda con un microscopico ecografo che servirà a controllare le operazioni.
L’introduzione della sonda, soprattutto quella di destra era molto fastidiosa. La sentivo risalire lentamente il busto e sentivo quando i medici la ritiravano indietro. La sensazione peggiore però era la tachicardia che mi prendeva quando la sonda toccava il cuore. Per reazione cominciava a battere forte. Era come avere il cuore in gola, com uno spavento che non passa mai. Tutto questo é capitato per una decina di volte durante l’operazione per circa 10-15″ ogni volta. Quando ciò accadeva mi veniva spontaneo respirare profondamente e velocemente, come quando una partoriente ha le doglie. Nel frattempo mi sfregavo i piedi, sudatissimi sotto il telo di plastica che mi ricopriva fino al collo e lasciava scoperto solo il bacino. Mi danno 50 cc di sedativo. Non sento grosse differenze, però.
Ad un certo punto sento che il dottore chiede di preparare la protesi. Gli chiedo se é già stata installata, perchè la sonda ha già fatto diverse andate e ritorno verso il cuore. Mi prende un po’ di sconforto quando sento che non l’hanno ancora inserita, ma mi dicono che manca poco, di stare tranquillo. Sento un po’ di indicazioni tipo “in senso orario, dall’altra parte, tira, molla, ecc…” e capisco che ci siamo. Il cuore batte sempre forte quando la sonda é dentro il cuore, mi accorgo di avere gli occhi spalancati al soffitto. Mi sembra di avere un aspetto poco dignitoso e mi vergogno un po’. E’ davvero strano ma un pensiero ricorrente é stato quello di non fare figuracce e di sembrare un fifone.
Sento la tensione scemare tra gli infermieri. Qualcuno comincia a rimettere in ordine la sala operatoria. Manca un ultimo sforzo. Mi mettono un punto in profondità che mi blocca il flessore della coscia destra. La vena femorale non deve essere stirata per evitare il rischio di emoraggia. Lo terrò quasi 24 ore e sarà fastidiosissimo. Quando me lo toglieranno mi sentirò libero come se mi avessero tolto una catena al collo.
Mi aspetta una altra mezz’oretta in sala operatoria. Un medico ad altri giovani colleghi come manovrare la sonda dell’ecografo (quella di sinistra). Questa deve essere molto sottile perchè non sento particolare fastidio. Sono la cavia in una breve sessione didattica. Mi fa piacere essere stato utile per la formazione di qualche medico. Ho ricevuto tanto dalla medicina, volentieri ricambio con un piccolo sacrificio. In quei momenti però non vedevo l’ora che tutto fosse finito. Mi é passato per la testa di chiedere al medico “posso mettermi in coda per provare anch’io?” per fargli capire che per un po’ andava anche bene ma ora ero davvero stanco. Non ho avuto il coraggio di fare lo spiritoso, temevo di irritarlo e allora ho tenuto la battuta per me.
Finito
Sono po’ malconcio, ma tutto sommato felice che sia tutto finito. Alle 17 i medici lasciano la sala e gli infermieri mi sistemano. Alle 17:30 ritorno nella mia stanza. Mi mettono la telemetria per avvisare se ci sono problemi di aritmia e ogni 1-2 ore mi fanno un elettrocardiogramma. Verso le 21 posso mangiare. Mi portano una scodella con un litro di latte e 4 fette biscottate. Mangio le fette biscottate e chiedo che di far sparire il latte dalla mia vista. Fin da piccolo mi viene il voltastomaco quando vedo il latte nelle tazze. Riesco a dormire per 3-4 ore, però il punto sulla gamba e i sensori della telemetria sparsi per il torace non mi fanno trovare una posizione comoda. Al mattino avrò un forte mal di schiena. Alle 6 del mattino prelevano il mio unico compagno di stanza e questo mi permette di sollevare la persiana e gedermi un’alba giallissima sui campi ricoperti di brina. Al mattino una radiografia e una nuova eco con bubble test permettono di concludere che l’operazione é andata a buon fine. Poco prima di essere dimesso regalo l’ultima smorfia all’infermiera che mi toglie il punto sulla gamba. Era davvero molto profondo, neanche l’avessero legato alla testa del femore… In compenso, però, non ho perso neanche una goccia di sangue dalla ferita.
Ripartenza
Sono tornato al lavoro dopo quattro giorni di riposo. Dopo una settimana ho cominciato a fare un po’ di stretching. Dopo due settimane ho ripreso a praticare qualche esercizio di ginnastica. Tornerò a correre a gennaio, un mese dopo l’intervento. Ora però mi sento pronto per ripartire, sia fisicamente che emotivamente. Mi fa piacere che tutto ciò accada vicino al solstizio invernale. Da sempre l’umanità ha festeggiato questo avvenimento. Il significato più profondo va ben oltre l’interpretazione religiosa che il cristianesimo gli ha dato negli ultimi secoli. Quello che si festeggia é lo scavallamento dell’inverno. Da questo giorno in poi nessuna notte sarà più lunga di quella appena trascorsa. La primavera é ancora molto lontana però sicuramente tornerà, visto che da domani il sole sarà ogni giorno un po’ più alto all’orizzonte.
Nel mio piccolo, ho vissuto il mio personale solstizio. Ora avanzo ogni giorno di un piccolo passo, verso una vita normale. Una vita normale, per come la concepisco io, passa necessariamente per l’esercizio della fisicità del corpo al meglio delle sue possibilità. Alla fine questo é il motivo ultimo per cui mi piace correre.