Segnalo un articolo interessante di Matt Fitzgerald, coach e divulgatore, uno che la sa lunga, almeno a parole. Riguarda la tolleranza alla sofferenza, concetto non nuovo nella corsa di resistenza. A prima vista non esprime riflessioni particolarmente originali. Due cose, però, mi ha colpito. La prima è il legame che c’è tra competizione e capacità di resistere alla sofferenza.

Quest’ultima aumenta quando ci si allena per un obiettivo e quando si è vicini ad esso. In secondo luogo mi ha colpito l’allenabilità della resistenza alla sofferenza. E’ un tema delicato, dopo i decessi di giovani sportivi avvenuti negli ultimi tempi. Questi avvenimenti ricordano che se il nostro fisico ha messo in piedi un sistema che ci costringe a dire “basta” anche controvoglia un motivo c’è. E anche importante.

Se non c’è in palio una medaglia alle olimpiadi, la sofferenza cardiaca si può tranquillamente evitare. Tuttavia la sofferenza muscolare, psicologica ecc. si può allenare. Abituarsi a condizioni di forte disagio e prendere consapevolezza che passeranno aiuta nello sport e nella vita. Il limite, per chi non si guadagna il pane con l’atletica, è il proprio benessere e la soddisfazione personale. Il superamento di queste sofferenze può essere fonte di autostima e soddisfazione. La sofferenza senza ricompense o benefici è appagante solo per i masochisti.

Questo altro articolo ricorda che se non si può sempre allentare la sofferenza, si può almeno cercare di migliorare il nostro rapporto con essa. Anticipandola anche mentalmente.

Di Abro

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