Ci sono modi più comodi per trascorrere le domeniche. Pochi, però sono altrettanto appaganti.
Uscendo di casa, domenica mattina, sapevo ciò a cui andavo incontro. Da giorni le previsioni meteo erano concordi. Pioggia, vento, freddo e acqua alta. Mancavano neve e tempesta, solo perchè fuori stagione. Alle 6:30 non pioveva e questo mi incoraggiava. In compenso c’era un vento molto sostenuto. Le strade erano coperte da fogliame e rami caduti dagli alberi.
Le strade erano deserte e sono arrivato a Mestre molto velocemente. Dall’ondeggiare degli alberi si capiva che il vento continuava a soffiare molto intensamente.
Fortunatamente l’autobus che mi porterà alla partenza arriva presto e riesco a trovare posto a sedere. Mi sono dimenticato il lettore mp3 in auto, per cui mi tocca sorbirmi 45 minuti di “Aneddottistica del podista veterano”, che, vista la gironata, ha un mood scaramanticamente pessimistica. Mi capita di assistere ad una scena che a raccontarla c’è da non crederci. Un ragazzo e una ragazza dopo 5 minuti chiedono a gran voce all’autista di fermarsi perchè hanno sbagliato autobus …
Ad un certo punto noto una voce che in dialetto veneziano assicura che finchè c’è il vento di bora di sicuro non piove. L’eccezione alla regola si farà attendere solo 3 ore.
Siamo tra i primi ad arrivare a Strà. Mi cambio in spogliatoio ma resto coperto, visto il freddo. Esco per muovermi un po’, torno dentro poco dopo e trovo tutto occupato. Una folla da non riuscire a stare in piedi. Dovrò trovarmi un posto asciutto all’aperto per cambiarmi. Consegno la sacca un’ora prima della partenza e comincio il riscaldamento. Mi sento bene, leggero e sciolto. Non ho fastidi alla schiena e questo è già un aspetto molto positivo. Entro in gabbia e trovo un mio compagno di squadra. In prima gabbia si sta da dio: si può corricchiare e fare stretching fino a pochi minuti dalla partenza senza correre il rischio di trovarsi centinaia di podisti che hanno l’intenzione di tenere un ritmo lentissimo che però vogliono partire davanti a tutti. Per ora ci sono solo poche goccie ma il vento continua a soffiare. Vedo arrivare i top runners. Riconosco Monica Carlin, Martina Celi, Simion e l’ucraino Matviychuk.
Finalmente si parte! Avere il privilegio di stare in prima gabbia cambia l’approccio alla partenza. Tutt’altra cosa. Ci sono 12°C, all’arrivo scenderanno a 10. Temperatura ideale ma il vento rende l’aria gelida. Decido di seguire il gruppo dei pacer delle 2h50′. Si parte al passo di 4’/Km, perfettamente costante per i primi 5 km, poi si perde qualche secondo. Dei primi 10 km ricordo solo che cercavo di prendere la posizione migliore per essere riparato dal vento, qualche sgomitata e parecchia confusione nel gruppetto. Eravamo una quindicina attorno ai due pacer, più un’altra decina in coda. Ero molto attendo ai piedi degli altri. Si rallentava ed accelerava, non era una corsa molto rilassata. Le anse del Brenta ci permettevano di vedere davanti a noi per i primi km il gruppetto degli africani. Al km 10 il rifornimento crea un po’ di confusione. Si rallenta un paio di km a 4’07″/Km. Questa andatura ad inizio gara non mi sta bene, però avevamo di fronte il vuoto. Nessun altro gruppetto su cui tentare una rimonta. Qualcuno si sgancia e resta qualche metro di fronte al gruppo. Decido di provarci anch’io e mi riporto a 4’/km. Prendo una decina di metri al gruppetto. I due che erano fuoriusciti mollano e mi trovo da solo. La frequenza cardiaca sale di 4-5 battiti al minuto, non mi sembra di guadagnare terreno e subisco le forti folate di vento. Decido di rientrare nel gruppo. Per i primi 15 km il vento soffia costantemente in senso contrario. Solita confusione con rallentamento al rifornimento. Qualcuno si lamenta che si va troppo piano. I pacer sono abbastanza stanchi, hanno fatto un gran lavoro fino ad ora.
C’è qualche parapiglia quando qualcuno tocca la caviglia di un atleta che non cade per miracolo. Rallenta un po’ imprecando e si rimette in coda. Al km 18 comincia a piovere con decisione. Sale il nervosismo e aumenta la stanchezza. Poco dopo il km 20 un pacer vola a terra. Era ad un metro a me, di fianco. Sento uno schianto a terra, mi giro e lo vedo scivolare sull’asfalto. Si rallenta un po’, qualche scambio di accuse e insulti. Io tengo il ritmo, il gruppo tarda a raggiungermi. Ormai stiamo sullo stradone alle porte di Marghera, quasi metà gara. Decido che è ora di fare da se, all’interno della città spero di trovare un po’ di riparo ed evitare i rischi di correre in gruppo. Punto a tenere i 4’/Km sfruttando il riparo offerto dalla città. Il 21esimo km passa molto lento. 4’17” a causa della caduta.
Passo la mezza in 1h26’4″. E’ un buon tempo, mi sento bene e so che adesso comincia la parte più bella. Sono motivato. So di aver perso circa 40-50″ a causa del ritmo del gruppetto. So, però, che quel ritardo significa anche energia risparmiata. Si entra in Marghera, tengo un ritmo poco sopra i 4’/Km, recupero qualche posizione, vengo superato a mia volta … difficile trovare compagni di passo. A questo punto c’è chi comincia a sentire la fatica e chi ha risparmiato e prova ad accelerare. Vedo da lontano Monica Carlin, accompagnata da qualche altro atleta. Vado alla stessa sua velocità, sono sempre separato di 50 metri circa, ma in lento recupero. Piazza Ferretto, il cuore di Mestre, è quasi deserta, tuttavia il transito è emozionante. Quel km è stato il mio più veloce: 3’55″/Km. Ne faccio altri due veloci grazie al fatto che abbiamo cambiato direzione e il vento ora arriva di fianco. Si arriva finalmente al parco di San Giuliano, coi suoi saliscendi. Non sto molto lontano dai 4’/Km. Il fatto di percorrere un tratto in andata e ritorno, mi fa rendere conto della distanza degli altri concorrenti, oltre al fatto (scontato) che non si transiterà per Piazza San Marco. Altro piccolo rallentamento sul cavalcavia che mi immette sul ponte della libertà. Qui comincia la parte più dura. Gli ultimi 8 km sono pesati più di tutta la maratona. C’è un vento fortissimo, laterale e talvolta contrario. Io e chi mi precede cerchiamo riparo nello spartitraffico in cemento che ci divide dalle auto in coda per entrare a Venezia. Se sono a fianco di un autobus il disagio è limitato, ma appeno lo si supera arriva una botta di vento. Per due volte il mio piede sinistro tocca il polpaccio destro, come se mi avessero fatto uno sgambetto. Riesco a non cadere. In alcuni tratti il vento è davvero forte ed è necessario abbassare la testa e spingere come in salita. I bicchieri dei rifornimenti continuano a volarmi contro all’altezza dei piedi, come i cesougli rotolanti dei film western.
Faccio i 4 km del ponte in 4’19″/Km di media, abbastanza costanti. Raggiungo Monica Carlin con la quale scambio due parole. Lei va avanti come niente fosse. Troppo forte, non chiede cambi e non cerca scie. Lungo la discesa dal cavalcavia al termine del ponte non riesco a tenere il suo passo. Comincio ad accusare la fatica. Faccio un km discreto in 4’09”, poi mollo psicologicamente. Cominciano i ponti c’è vento contrario e forte per un paio di metri l’acqua arriva alla caviglia. Gelida e salata. Le goccie di pioggia, accelerate dal vento colpiscono come proiettili. Mi rendo conto di riuscire a stare sotto il mio personale ma al tempo stesso di essere ben lontano da 2h50′. Adesso voglio solo arrivare. Il ponte di barche sul Canal Grande è un inferno: vento contrario + salita. Arrivo rallentando sul punto più alto. Temo di fermarmi prima che cominci la discesa, come un’auto in folle. Poi si parte e faccio girare un po’ le gambe. Il vento e le onde mi fanno ballare, mi sembra di essere ubriaco e un paio di volte ho l’impressione di finire diretto in acqua. Finalmente ai giardini, poi di fianco piazza san Marco, che vedo allagata. Ancora qualche ponte, senta da dietro che mi stanno rimontado. Perdo 6 posizioni negli ultimi 2 km. In 3 mi superano negli ultimi 200 metri. Non ho voglia di combattere, nemmeno di tentare lo sprint per stare sotto le 2h55′. Oggi va bene così. 2h 55’08”. Miglior risultato personale.
Ringrazio il pacer superstite delle 2h50′, arrivato con me e vado subito a cambiarmi. Faccio fatica a slacciarmi le scarpe, le mani sono gelide. Mi metto la tuta e la giacca antivento. Vado a prendermi la pasta e fagioli. Speravo fosse bollente, ed invece era solo calda. Prendo il primo traghetto per il tronchetto, dove attenderò pochi minuti per partire con l’autobus in direzione di Mestre. Una volta dentro la mia auto metto il riscaldamento a mille. Mi aspetta mezz’ora di strada tranquilla, al caldo, con un gran risultato al sicuro. Missione compiuta. Accendo l’autoradio, ho il cd dei Blur: U-Uh!!
Hai lottato con grande tenacia. Ottima preparazione alle spalle, complimenti.
@giuseppe Grazie